Il fenomeno Incel: nuove forme di disagio maschile nell’era digitale
- Francesco Lobriglio
- 16 apr
- Tempo di lettura: 33 min
Aggiornamento: 24 apr

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🧭 Indice dell'articolo
Origini e definizione del fenomeno Incel
Il termine “incel” è un acronimo di involuntary celibate (celibe involontario) e indica una subcultura online composta prevalentemente da uomini eterosessuali che si definiscono incapaci di ottenere relazioni romantiche o sessuali nonostante il desiderio di averne. Questa condizione auto-descritta viene spesso accompagnata da un sentimento di risentimento verso le donne, tanto che la subcultura incel è stata associata a misoginia, estremismo e persino atti di violenza. Il termine nacque nel 1997, quando una studentessa canadese conosciuta come Alana creò un sito web intitolato “Alana’s Involuntary Celibacy Project” per condividere le proprie difficoltà negli appuntamenti e connettersi con altre persone sole o socialmente impacciate.
Inizialmente quel progetto fungeva da gruppo di supporto inclusivo, aperto a persone di ogni genere ed orientamento, unite dal comune senso di frustrazione amorosa. Col tempo, però, la comunità originaria cambiò volto: Alana trovò una relazione e abbandonò il sito, che venne lasciato in mano ad altri membri. Solo anni dopo, in seguito a eventi violenti legati agli incel, Alana scoprì che la comunità si era trasformata in gruppi composti esclusivamente da uomini eterosessuali, la cui frustrazione sessuale si era incanalata in ostilità verso le donne “colpevoli” di averli rifiutati. In altri termini, il significato del termine si è evoluto da un generico forum di supporto per persone sole a indicare oggi un movimento online maschile con connotazioni ideologiche ben definite, spesso caratterizzato da narrazioni di rancore e odio verso l’altro sesso. Questa “seconda ondata” di incel è emersa negli anni 2010 e coincide con alcune tendenze sociali, ad esempio un calo dell’attività sessuale tra i giovani in Nord America rispetto alle generazioni precedenti. Tale contesto può aver contribuito ad alimentare un sentimento di isolamento e risentimento che è alla base dell’identità incel contemporanea.
Visione del mondo e delle relazioni degli incel
Gli incel condividono una visione del mondo estremamente negativa e fatalista riguardo ai rapporti interpersonali, incentrata sull’idea di essere vittime di un sistema ingiusto. Alla base della loro ideologia c’è la convinzione che la società moderna funzioni come un “mercato sessuale” dominato dall’apparenza fisica: essi credono che le interazioni sentimentali seguano una rigida gerarchia basata sull’attrattività, in cui solo gli uomini e le donne più avvenenti ottengono successo relazionale. Nella terminologia incel, al vertice ci sono i cosiddetti “Chad” (uomini attraenti, di alto status) e le “Stacy” (donne altrettanto attraenti): costoro detengono lo status di alpha e monopolizzano l’attenzione romantica e sessuale. Subito sotto si trovano i “normie”, ovvero persone comuni di attrattività media, mentre gli incel si collocano all’ultimo gradino della scala sociale, condannati alla solitudine sentimentale a causa del loro aspetto fisico ritenuto inferiore.
Questa struttura rigida alimenta un misto di invidia e disprezzo negli incel: da un lato essi covano rancore verso i Chad accusati di “accaparrare tutte le donne”, dall’altro desidererebbero essi stessi raggiungere quello status privilegiato. Allo stesso modo, le Stacy (e le donne in generale) sono simultaneamente oggetto di desiderio sessuale e bersaglio di disumanizzazione nelle discussioni incel: vengono dipinte come superficiali, egoiste, manipolatrici e interessate solo al tornaconto personale. Questo linguaggio denigratorio verso le donne – chiamate talvolta con termini dispregiativi come “femoid” – è così diffuso nei forum incel da costituire uno dei motivi principali per cui dall’esterno il movimento è percepito come profondamente misogino.
Dal punto di vista degli incel stessi, tuttavia, tale misogenia deriva da quella che essi ritengono essere una realtà oggettiva: secondo la loro visione, le donne praticano un’ipergamia estrema, cioè sono interessate solo ai pochi uomini di più alto valore (i Chad), e ignorano o scartano la grande maggioranza degli uomini “comuni”. In questa narrazione, le donne vengono ritenute colpevoli di aver creato – complice la libertà sessuale acquisita con il femminismo – un sistema di competizione sfrenata in cui molti uomini restano esclusi: in pratica, “la loro infelicità è colpa delle donne”. Gli incel accusano le donne di esercitare un potere di selezione iper-selettivo – descritto come hypergamy – seguendo una sorta di “algoritmo” che dà peso solo a pochi criteri superficiali (bellezza fisica, status, denaro) e ignora invece qualità personali come gentilezza, intelligenza o umorismo, che potrebbero rendere desiderabili gli uomini meno attraenti. Questa visione riduzionistica dei rapporti di genere porta gli incel a generalizzare: la donna “tipo” viene immaginata come opportunista e infedele, sempre pronta a lasciare un partner mediocre per uno migliore non appena possibile.
In sintesi, gli incel vedono sé stessi come vittime predestinate di un meccanismo sociale crudele: convinti di occupare irrimediabilmente l’ultimo posto nella gerarchia degli incontri, essi sviluppano un’identità di gruppo basata sul sentirsi rifiutati, umiliati e arrabbiati verso coloro che percepiscono come causa del proprio dolore.
Concetti chiave: Red Pill e Black Pill
Un aspetto centrale dell’ideologia incel è la metafora delle “pillole” ispirata al film Matrix. Nei loro discorsi, infatti, gli incel spesso si definiscono come individui che hanno assunto la Red Pill (pillola rossa), in contrapposizione alla massa dei “bluepilled” o “normie”. In Matrix, prendere la pillola rossa significa acquisire consapevolezza di una realtà dura e scomoda, mentre la pillola blu mantiene nell’illusione confortevole. Analogamente, gli incel ritengono di aver “aperto gli occhi” sulle “crudeli verità” dei rapporti di genere, comprendendo ciò che a loro dire la società moderna nasconde: l’idea cioè che l’attrazione sia governata solo da superficialità e dinamiche di potere. Definirsi redpilled significa, per gli incel, aver compreso questa presunta realtà biologico-sociale in cui le donne dettano le regole del gioco sessuale, preferendo sempre gli uomini più avvenenti e relegando gli altri alla solitudine. Tale “risveglio” porta alcuni incel a tentare strategie di adattamento estremo: ad esempio, dedicarsi al looksmaxxing o gymmaxxing, termini che indicano il cercare di massimizzare il proprio aspetto tramite chirurgia estetica o intenso esercizio fisico. L’idea di fondo è che, avendo ingerito la pillola rossa, si conoscono le “vere regole” del mercato sessuale e quindi si possa provare a “giocare” quel sistema migliorando i propri attributi esterni. Tuttavia, molti altri incel finiscono per abbracciare una prospettiva ancora più pessimista, nota come Black Pill (pillola nera). La Black Pill viene definita come la visione nichilista secondo cui le gerarchie di attrattività sono immutabili: qualunque sforzo di miglioramento personale risulta inutile, poiché il destino sentimentale di ciascuno è già segnato dalle proprie caratteristiche fisiche e genetiche. In altre parole, se la Red Pill è rivelazione, la Black Pill è disillusione: essa sostiene che un incel rimarrà sempre tale e un normie non potrà mai aspirare a diventare Chad, a meno di uno stravolgimento totale della società. Secondo i sostenitori della Black Pill, i tentativi di looksmaxxing sono vani e l’unica speranza di cambiare lo status quo risiederebbe in eventi drastici – alcuni arrivano a invocare un “collasso” dell’ordine sociale attuale o un ritorno forzato a norme patriarcali in cui a ogni uomo sia “assegnata” una compagna. Studi recenti indicano che questa visione fatalista è estremamente diffusa nella comunità: circa il 95% degli incel dichiara di credere nella Black Pill. Va notato, però, che non tutti ritengono tale credenza un requisito imprescindibile per dirsi incel. Ciò che accomuna praticamente tutti, invece, è il frame interpretativo: Red Pill e Black Pill costituiscono le lenti attraverso cui gli incel leggono le proprie vite e i rapporti di genere, oscillando tra il tentativo di migliorare la propria condizione (Red Pill) e la rassegnazione totale (Black Pill).
La “Legge di Pareto” 80/20 e la sua distorsione
Uno dei riferimenti pseudo-scientifici più citati negli ambienti incel è la cosiddetta “regola 80/20”, una semplificazione della legge di Pareto. In origine, il principio di Pareto osserva che circa l’80% degli effetti deriva dal 20% delle cause. Gli incel hanno ripreso questo concetto applicandolo alle dinamiche di attrazione sessuale, sostenendo che “l’80% delle donne è attratto solo dal 20% degli uomini”. In altre parole, secondo questa teoria, la grande maggioranza delle donne competerebbe per una piccola élite di uomini altamente desiderabili (i Chad), lasciando l’80% degli uomini a contendersi il rimanente 20% delle donne “non scelte”. Si tratta di una visione estremamente distorta dei rapporti di coppia, che gli stessi incel spesso presentano con tono di amara ironia ma allo stesso tempo citano come giustificazione del proprio status. Su Incels.wiki, ad esempio, si legge che molti incel attribuiscono la propria condizione al fatto che “il 20% degli uomini più dominanti monopolizza l’80% delle donne”, riconoscendo però che si tratta di una “visione un po’ esagerata dei fatti” e che solo in alcuni contesti particolari (come certe piattaforme di dating online) si osservano squilibri così marcati. Nonostante ciò, la “regola 80/20” è diventata un meme identitario del gruppo, usato per sottolineare gli effetti deleteri del mercato sessuale contemporaneo e la crescente competitività scatenata dai social e dalle app di incontri.
Questa lettura semplicistica viene impiegata dagli incel per alimentare il rancore verso le donne, accusate di essere “iperselttive” e di “darla solo ai soliti pochi”. L’80/20 finisce così per funzionare da alibi collettivo: anziché incoraggiare una comprensione più sfumata delle difficoltà relazionali, la regola viene brandita come prova che il sistema è truccato in partenza a loro sfavore. Va detto che la teoria è facilmente smentita osservando la realtà quotidiana – come notato ironicamente da alcuni, basterebbe «fare una passeggiata per strada» per vedere coppie formate anche da persone normali, non certo tutte costituite da top model e milionari.Ciò nonostante, nel mondo incel l’80/20 ha preso piede perché offre una spiegazione immediata (per quanto erronea) al loro insuccesso: “se non ho una compagna, è perché le donne puntano solo al 20% degli uomini, quindi io – che non ne faccio parte – sono tagliato fuori a priori”.Questa mentalità, per quanto basata su un dato pseudo-scientifico mal interpretato, costituisce un tassello fondamentale dell’ideologia incel e rafforza la loro visione fatalista e deresponsabilizzante delle relazioni.
Figure importanti
Il fenomeno incel è emerso all’attenzione pubblica soprattutto a causa di episodi di cronaca nera legati ad alcuni suoi membri più radicalizzati. Di seguito si richiamano i principali “esponenti” (diretti o indiretti) spesso citati in relazione alla subcultura incel:
Elliot Rodger: È considerato il “proto-incel” e una figura quasi mitologica all’interno di questi ambienti. Il 23 maggio 2014, a Isla Vista (California), il 22enne Rodger uccise sei persone e ne ferì quattordici in un attacco combinato (sparatoria, accoltellamenti e investimento con l’auto) prima di togliersi la vita. Questo tragico evento è considerato il primo attacco mortale attribuito alla subcultura incel, e Rodger viene venerato in tali comunità come un “martire” o addirittura soprannominato “Saint Elliot”. Nel gergo incel, Rodger è il “Supreme Gentleman” la cui memoria viene talvolta celebrata, sebbene – va notato – non tutti gli incel approvino o idolatrino le sue azioni (indagini mostrano che solo una minoranza dichiarata di incel ammira apertamente i responsabili di stragi come Rodger).
Alek Minassian: Autore di un attacco avvenuto a Toronto il 23 aprile 2018, quando l’allora venticinquenne Minassian lanciò un furgone sulla folla, uccidendo 11 persone e ferendone 16. Si definì esplicitamente un incel e dichiarò di essere stato motivato dall’odio verso le donne. Poco prima dell’attentato, Minassian aveva postato sui social un messaggio inneggiante alla “ribellione incel” e citando Elliot Rodger come ispiratore (“All hail the Supreme Gentleman”). Arrestato e processato, è stato condannato all’ergastolo nel 2022. Il caso Minassian ha portato molti media a scoprire l’esistenza della subcultura incel, evidenziando la potenziale pericolosità dei suoi membri più estremisti.
Altri aggressori legati alla subcultura incel: Purtroppo vi sono stati altri episodi di violenza riconducibili a uomini che condividevano l’ideologia incel. Ad esempio, nel 2015 Christopher Harper-Mercer uccise 9 persone in un college in Oregon e nel suo manifesto citò sentimenti di isolamento romantico simili a quelli di Rodger; nel 2021 il giovane Jake Davison compì una strage a Plymouth (Regno Unito) uccidendo 5 persone, inclusa la madre, prima di suicidarsi, dopo aver manifestato online frustrazione sessuale e idee misogine tipiche del mondo incel. Questi eventi hanno alimentato il dibattito se classificare l’estremismo incel come una forma di terrorismo di genere. Paesi come il Canada hanno persino imputato un attentatore incel minorenne (autore di un attacco con accoltellamento nel 2020) con accuse di terrorismo. È importante sottolineare, tuttavia, che i cosiddetti “Rodger e Minassian” rappresentano una piccola frazione degli incel: la stragrande maggioranza degli incel non commette atti violenti. Come vedremo, molti soffrono interiormente senza sfogare la propria rabbia in maniera eterodiretta. Gli stessi forum incel talvolta mostrano atteggiamenti ambivalenti verso questi killer, oscillando tra la glorificazione e la condanna, il che li distingue dai gruppi terroristici organizzati che invece celebrano unanimemente la violenza per la causa.
William Costello – Diverso dai nomi precedenti, William Costello è uno studioso che ha dato voce al fenomeno incel in ambito accademico.
Psicologo evoluzionista, Costello ha condotto alcune delle prime ricerche empiriche sugli incel, contribuendo a far emergere dati oggettivi sul profilo psicologico e attitudinale di questi uomini. Ad esempio, è co-autore del primo studio pubblicato sulla mating psychology degli incel (la psicologia dell’accoppiamento): un’indagine del 2024 che ha confrontato un campione di 151 uomini auto-identificati come incel con 149 coetanei single non incel. I risultati hanno fornito insight importanti (come il basso valore percepito di sé degli incel e le loro distorsioni cognitive sulle preferenze femminili) utili per comprendere il fenomeno al di là delle rappresentazioni mediatiche. Costello stesso è diventato una figura di riferimento nello studio degli incel, contribuendo a normalizzare il dialogo su di loro in ambito scientifico e invitando i professionisti (psicologi clinici, educatori) a sviluppare interventi basati sui dati per aiutare questa popolazione.
Presenza online, "echo chamber" e dinamiche di gruppo
La loro identità di gruppo nasce e si consolida su forum e piattaforme digitali, spesso chiusi o semi-anonimi, dove possono condividere pensieri ed emozioni lontano dagli sguardi esterni. Storicamente, hanno popolato subreddit su Reddit (come r/Incels e r/Braincels, poi bannati per incitamento all’odio) e oggi si ritrovano su forum dedicati, oltre che in chat su piattaforme come Telegram. In questi spazi virtuali si sviluppa una forte dinamica di ingroup/outgroup: gli incel formano l’ingroup, percepito come una comunità coesa di pari che “hanno capito come stanno le cose”, contrapposta a vari outgroup percepiti in modo ostile. Tra gli outgroup figurano principalmente le donne in generale (spesso indicate in modo dispregiativo e ritenute esseri quasi di un’altra specie), ma anche gli uomini che non condividono la condizione incel – i “normies” ignari e conformisti, e soprattutto i Chad di successo che incarnano tutto ciò che agli incel è negato.
Si crea così un linguaggio gergale che rafforza il senso di appartenenza al gruppo e contemporaneamente disumanizza i gruppi esterni: per citare una giornalista che si è infiltrata nelle community incel italiane, “la manosfera ha sviluppato un gergo proprio che rafforza il senso di appartenenza e, al tempo stesso, costruisce la divisione tra noi e loro”. Ad esempio, come già visto, nei forum incel le donne vengono spesso chiamate “non-persone” o “oggetti”, e le discussioni sono intrise di epiteti offensivi e metafore (come “roastie”, “femoid”, ecc.) che le presentano come esseri inferiori o malvagi. Allo stesso modo, gli uomini esterni possono essere bollati con termini dispregiativi: “normie” implica mediocrità e ignoranza delle “verità” redpill, mentre “beta” indica maschi sottomessi; i Chad sono odiati e derisi per il loro privilegio.
All’interno di queste echo chamber digitali, gli incel trovano sia conforto sia ulteriore esasperazione: conforto perché per la prima volta molti di loro hanno un luogo dove sentirsi compresi da altri nella stessa condizione, ma esasperazione perché il continuo rimarcare ingiustizie subite e l’odio verso l’outgroup tende a radicalizzare ulteriormente le opinioni.Numerosi studi evidenziano come tali comunità online favoriscano processi di polarizzazione e rafforzamento di bias. Ad esempio, la ripetuta deumanizzazione delle donne nei forum conferma agli incel la liceità del proprio disprezzo e può alimentare fantasie di vendetta o violenza. Si osserva un fenomeno di omogeneizzazione dell’outgroup: agli occhi degli incel, “tutte le donne” diventano un’entità stereotipata negativa (superficiale, ipergama, manipolatrice) e “tutti i normie” dei complici inconsapevoli del sistema, perdendo le sfumature individuali. Questo clima favorisce inoltre processi di ingroup: gli incel tendono a supportarsi a vicenda nelle proprie credenze disfunzionali, validando a vicenda la narrazione vittimistica comune. Ad esempio, uno studio ha riscontrato che nei forum incel oltre la metà degli utenti riportava di sentirsi meno solo grazie alla comunità online. Tale sostegno però ha un rovescio della medaglia: spesso consiste nell’offrire conferma delle convinzioni negative reciproche invece che spronare al cambiamento.
Le conseguenze psicologiche di questa dinamica ingroup/outgroup sono preoccupanti. Da un lato, aumenta la polarizzazione ideologica: frequentare costantemente ambienti in cui si riafferma la colpevolizzazione generalizzata delle donne e si giustifica la rassegnazione (o la rabbia) degli incel consolida in loro queste credenze, rendendole sempre più estreme. Dall’altro, la continua esposizione a contenuti d’odio può generare un’assuefazione emotiva che abbassa le inibizioni: insulti e auspici di violenza contro l’outgroup, inizialmente non accettati, divengono linguaggio quasi normale. Ricerche sull’attività online degli incel mostrano un’evoluzione verso toni sempre più violenti: termini e meme aggressivi aumentano col tempo, indicando una progressiva radicalizzazione del discorso. In alcuni angoli di queste piattaforme si trovano vere e proprie celebrazioni della violenza; in certi forum esistono addirittura sezioni dedicate ad elogiare Rodger, o spazi in cui vengono discussi temi legati al suicidio. Inoltre, l’ostilità verso l’esterno spesso si accompagna a un rafforzamento di legami interni: gli incel più attivi e “ideologicamente puri” diventano leader d’opinione nei forum, esercitando pressione sugli altri a conformarsi alla linea dura, ad esempio deridendo chi mostra opinioni più moderate o aperture verso l’esterno. Si crea così un circolo vizioso: maggiore isolamento sociale nella vita reale porta l’incel a rifugiarsi ancor più nei forum, dove però assorbe messaggi che lo allontanano ulteriormente dalla possibilità di reintegrarsi positivamente nella società.
Dal punto di vista psicologico, queste dinamiche possono incrementare aggressività e deumanizzazione. Gli outgroup (soprattutto le donne) cessano di essere percepiti con empatia: in molti thread le fantasie di violenza sessuale o di rivalsa cruenta sono trattate con inquietante leggerezza, quasi fossero sfoghi comprensibili di una frustrazione legittima. Alcuni incel arrivano ad auspicare stupri o coercizioni come “soluzione” sistemica – ad esempio, invocando un ritorno a una società patriarcale in cui le donne non abbiano facoltà di scelta. Sebbene queste posizioni estreme siano fortunatamente di una minoranza, il fatto che circolino all’interno della comunità contribuisce a desensibilizzare anche gli altri alla gravità di tali idee. La letteratura ha documentato come nei forum incel vi sia una presenza non trascurabile di contenuti che glorificano la violenza o ne minimizzano le conseguenze, e che tali atteggiamenti possono trovare terreno fertile specialmente tra membri che presentano difficoltà comunicative o tratti neurodivergenti.
In sintesi, la presenza online degli incel si caratterizza come un ambiente altamente polarizzato: offre supporto identitario a soggetti alienati, ma al prezzo di alimentare odio e isolare ancor di più dal resto della società. Comprendere queste dinamiche di gruppo è cruciale per i professionisti della salute mentale, poiché qualsiasi intervento dovrà fare i conti con il sistema di credenze condivise che il paziente incel avrà interiorizzato trascorrendo tempo in queste comunità virtuali.
Oltre il fattore culturale: analisi multidimensionale del fenomeno
Alcune interpretazioni socioculturali hanno letto il movimento incel esclusivamente come un prodotto del patriarcato e della mascolinità. Secondo questa visione, gli incel rappresenterebbero l’estremizzazione di un senso di entitlement maschile inculcato dalla società patriarcale: in pratica, uomini convinti che il sesso e l’attenzione femminile siano un loro diritto dovuto, e che di fronte alla frustrazione di tale aspettativa reagiscono con odio e violenza. Questa prospettiva, spesso avanzata in ambito femminista, sottolinea come le idee incel (misoginia esplicita, oggettivazione delle donne, vittimismo maschile aggressivo) non siano altro che un’esasperazione di atteggiamenti sessisti già presenti culturalmente. In effetti, alcuni studiosi notano similitudini tra il linguaggio incel e narrazioni tradizionalmente patriarcali: ad esempio, la concezione delle donne come “premio” a cui gli uomini “meritevoli” dovrebbero aver accesso, oppure l’idea che le donne devono concedersi sessualmente per placare la frustrazione maschile, richiamano retaggi di una società che vedeva la donna subordinata ai bisogni dell’uomo. Anche l’astio verso il femminismo, accusato dagli incel di aver “sconvolto l’ordine naturale” dando troppo potere di scelta alle donne, può essere interpretato come reazione di una mentalità patriarcale messa in crisi. In questa lettura, il fenomeno incel sarebbe in gran parte un prodotto culturale: l’interiorizzazione di norme di genere crea negli uomini un senso di diritto e superiorità; quando alcuni uomini non riescono a soddisfare tali aspettative (avere successo con le donne, dominare socialmente), reagiscono con rancore anziché mettere in dubbio quelle norme stesse. Quali sono i limiti di una simile lettura unidimensionale? Pur cogliendo elementi di verità (la matrice sessista del discorso incel è evidente), questa spiegazione rischia di semplificare eccessivamente un fenomeno complesso. In primo luogo, non tutti gli incel aderiscono consapevolmente a un’agenda antifemminista o suprematista maschile: molti di loro arrivano ai forum incel principalmente per un vissuto di sofferenza e solitudine, più che per una pregressa ideologia misogina. Ridurre il problema alla sola dimensione “culturale” (patriarcato) potrebbe portare a patalogizzare gli incel come mostri misogini, aumentando lo stigma e la distanza, invece di comprenderne le vulnerabilità. Come notano alcuni ricercatori, etichettare tout court gli incel come terroristi misogini può sortire l’effetto opposto a quello desiderato: anziché facilitarne il reintegro, aumenta la loro stigmatizzazione e auto-isolamento, dato che la maggioranza di loro non presenta affatto tendenze violente. Moskalenko et al. evidenziano che la maggior parte degli incel non ha comportamenti violenti né li approva, e anzi il 52% ritiene di essere percepito come più violento di quanto in realtà non sia. Insistere solo sulla cornice del “patriarcato” rischia di colpevolizzare questi individui senza considerarne i bisogni clinici.
Un altro limite è che tale spiegazione ignora i fattori psicologici individuali e familiari: molti incel presentano storie personali di rifiuto, traumi relazionali, insicurezze profonde e a volte condizioni psichiatriche o neurodivergenze che contribuiscono alla loro situazione. Ad esempio, un tema emergente è la possibile presenza di tratti dello spettro autistico in una parte di popolazione incel: difficoltà nelle abilità sociali, comunicative ed emotive che rendono più arduo per questi uomini instaurare relazioni, indipendentemente dalla cultura di riferimento.Un membro incel intervistato ha dichiarato: “La maggioranza degli incel lo è a causa di condizioni mentali, non dell’aspetto…se sei autistico, è completamente finita”, suggerendo che per alcuni il problema principale risiede in difficoltà psicologiche più che in fattori socio-culturali.Inoltre, non va trascurato l’impatto di fattori familiari ed educativi: storie di attaccamento insicuro, figure genitoriali assenti o ipercritiche, bullismo subito nell’adolescenza, sono tutti elementi che ricorrono in vari racconti di uomini incel e possono aver alimentato la loro sfiducia e il ritiro sociale. Un approccio eccessivamente ideologico al fenomeno incel comporta anche il rischio di precludere un aiuto efficace. Se ci si avvicina a questi individui con l’atteggiamento di chi deve “rieducarli” da un pensiero patriarcale deviante, è probabile che essi si chiudano ulteriormente. In ambito clinico, alcuni incel manifestano apertamente sfiducia verso professionisti che ritengono “allineati al femminismo” o politicamente prevenuti: in uno studio i ricercatori riportano che molti incel rifiutavano di partecipare alla ricerca temendo un approccio giudicante, e uno chiese esplicitamente se lo studio sarebbe stato “pro-femminista o invece comprensivo e di supporto”, lasciando intendere che nel primo caso non avrebbe collaborato. Ciò indica quanto sia delicato l’equilibrio: un approccio percepito come ideologico o moralizzatore (“sei così perché sei sessista”) può impedire il coinvolgimento degli incel in percorsi di aiuto.
Per questo, molti autori suggeriscono che una spiegazione scientifica multidimensionale del fenomeno sia la più appropriata. Tale spiegazione deve integrare i livelli: culturale (sì, il contesto di mascolinità egemone e ruoli di genere in mutamento fornisce uno sfondo importante), ma anche psicologico e relazionale (in termini di insicurezze individuali, competenze sociali, esperienze di vita), oltre a considerare fattori socio-tecnologici (isolamento, influenza delle comunità online). Solo un quadro a 360 gradi consente di comprendere davvero “chi sono gli incel” e, soprattutto, come poterli aiutare. Lungi dal giustificare atteggiamenti d’odio, un’analisi multidimensionale evita però la trappola di ridurre il tutto a “maschilismo e cattiveria”, riconoscendo la componente di sofferenza psicologica e i bisogni insoddisfatti che spesso alimentano questa sottocultura.
Sofferenza psicologica e vissuti comuni negli incel
Al di là dei risvolti ideologici, gli incel sono prima di tutto individui che soffrono profondamente.Le ricerche cliniche e i sondaggi condotti su uomini che si identificano come incel delineano un quadro di significativo disagio psicologico. In media, rispetto ad altri uomini single, gli incel riportano livelli più elevati di sintomi depressivi e ansiosi, forte sentimento di rifiuto e bassa autostima, spesso legata proprio al loro status relazionale. In uno studio recente è emerso che il campione presentava anche tassi sorprendentemente alti di condizioni come la fobia sociale e tratti di personalità evitante. In generale, gli incel costituiscono un gruppo ad alto bisogno clinico: molti di loro sperimentano quotidianamente angoscia per la propria solitudine, ruminazioni autodenigratorie alternate a moti di rabbia in cui la colpa viene data all’esterno. Questa oscillazione tra auto-svalutazione ed etero-accusa è una dinamica emotiva tipica: da un lato si colpevolizzano (“sono un perdente, nessuno mi vorrà mai”), dall’altro difendono il proprio Sé dolorante attribuendo ogni causa al rifiuto e alla crudeltà altrui (“le donne superficiali mi hanno rovinato la vita”). Tali modalità di fronteggiamento sono poco adattive: infatti gli incel mostrano scarse strategie di coping positive, ricorrendo invece a meccanismi disfunzionali come l’attribuzione esterna di colpa, la chiusura nel rancore o, all’opposto, un rimuginio interno autodistruttivo.
Diversi indicatori di salute mentale risultano compromessi nella popolazione incel. Alcuni studi hanno rilevato che gli incel presentano tassi più elevati di attaccamento insicuro (sia di tipo evitante che ansioso-ambivalente), il che significa che spesso hanno sviluppato modelli relazionali di sfiducia, paura del rifiuto o bisogno estremo di approvazione. Non sorprende quindi che molti soffrano di enorme solitudine e mancanza di supporto sociale percepito. Gli incel e “vergini cronici” riportano frequentemente sentimenti di isolamento e disperazione paragonabili a quelli di persone che vivono altre forme di esclusione sociale. Uno studio qualitativo ha evidenziato come negli incel emergano vissuti quali tristezza profonda, gelosia verso coetanei percepiti come più fortunati, frustrazione e paura che la situazione non cambi mai. Molti incel manifestano inoltre ansia da appuntamento e veri e propri sintomi fobici all’idea di interagire con potenziali partner, spesso correlati a precedenti esperienze negative o di bullismo in adolescenza.
Un dato particolarmente allarmante riguarda il rischio suicidario. Secondo il già citato studio su 561 incel, 1 su 5 di loro ha ammesso di aver contemplato il suicidio ogni giorno nelle ultime due settimane. Questa è una frequenza elevatissima che segnala un grave rischio auto-lesivo in corso. La tematica del suicidio è sorprendentemente presente nei discorsi incel online: essi utilizzano il termine “rope” (corda) come gergo per indicare il suicidio (impiccagione) e arrivano a dedicare intere sezioni dei loro forum a questo argomento. Un’analisi su alcuni post di incel che annunciavano intenti suicidi ha rivelato toni di disperazione profondissima e incoraggiamenti da parte di altri utenti a “portare a termine” l’atto. Si è osservato che molti incel percepiscono la propria situazione come così senza via d’uscita da contemplare il suicidio come unica soluzione, e tragicamente nei forum non manca chi legittima o persino incita tali gesti, in un macabro rafforzamento reciproco di idee nichiliste. La “suicide baiting” (stuzzicare qualcuno a suicidarsi) è stata documentata in questi ambienti, il che indica una totale assenza di regole nei forum e una perdita di speranza estrema. Un altro studio ha riscontrato che i post contenevano spesso espressioni di incompetenza globale (sentirsi un fallimento totale) e disperazione assoluta, a conferma del severo rischio clinico. La solitudine e il senso di esclusione sono fattori chiave: molti incel dichiarano di non avere amici intimi né reti di supporto nella vita reale. Questa mancanza di connessioni sociali rinforza sia la depressione sia la dipendenza dalla comunità virtuale. Inoltre, alcuni studi rilevano elevati livelli di attaccamento insicuro e paura di rimanere soli tra gli incel, il che denota uno stato di ansia relazionale che però, ironicamente, finisce per auto-avverarsi a causa dei loro comportamenti di evitamento o di aggressività. Un altro aspetto è la possibile comorbidità con disturbi di personalità. Non ci sono molti dati quantitativi, ma è ipotizzabile che tra coloro che popolano le frange più estreme dei forum incel vi siano soggetti con tratti paranoidi (convinzioni complottiste sulle donne), narcisistici (aspettative grandiose non rispecchiate dalla realtà, che generano rabbia narcisistica), evitanti o schizotipici. Di certo, la tendenza a esternalizzare la colpa per ogni fallimento e ad avere scoppi di rabbia indica una difficoltà nella regolazione emotiva tipica di alcuni disturbi di personalità. Uno studio qualitativo ha evidenziato come nei post incel siano frequenti espressioni di rabbia intensa e fantasie di vendetta, segno di una gestione aggressiva della frustrazione. Anche senza etichettare clinicamente, possiamo dire che gli incel vivono in un costante circolo di rancore (verso gli altri) e disprezzo di sé (verso se stessi), un mix emotivamente corrosivo. La propensione alla violenza è presente solo in una minoranza, ma è un tema di grande preoccupazione pubblica. La ricerca di Whittaker et al. (2022) ha rilevato che circa il 5% degli incel intervistati giustificava “spesso” l’uso della violenza contro chi “fa del male” alla comunità incel, e un altro ~20% la giustificava “a volte”. Ciò significa che circa un quarto ha almeno qualche simpatia verso l’idea di usare violenza, anche se la maggioranza rimane non violenta. Quelli più radicali tendono ad essere anche più ideologizzati (spiccatamente misogini) e leggermente più orientati politicamente all’estrema destra. Ma va ribadito: il profilo tipico dell’incel medio è più quello del depressivo passivo che odia se stesso e gli altri a parole, piuttosto che quello di un effettivo aggressore. Infatti, gli incel stessi spesso dicono di non avere neppure la forza di uscire di casa, figuriamoci di compiere attentati; è quella frangia minima e imprevedibile (come Rodger, Minassian…) che rappresenta il pericolo, mentre gli altri soffrono soprattutto interiormente.
Oltre a depressione e ansia, tra gli incel sono stati riscontrati tassi elevati di possibili neurodivergenze. In particolare, studi e sondaggi indicano un’alta prevalenza di autismo/Asperger riferito: molti incel stessi dichiarano di riconoscersi in tratti autistici (difficoltà di interazione sociale, pensiero rigido, interessi ristretti) e alcune ricerche suggeriscono che fino a circa un terzo di loro potrebbe presentare caratteristiche dello spettro autistico in misura clinicamente significativa. Questa correlazione non va interpretata come “gli autistici diventano incel”, bensì come segnale che chi ha neurodivergenze (non diagnosticate o non supportate adeguatamente) può trovarsi particolarmente vulnerabile a sviluppare l’identità incel a causa delle frustrazioni sociali incontrate.Infine, non si può ignorare il tema del bullismo: molti incel narrano di essere stati derisi o emarginati durante l’adolescenza, spesso per il loro aspetto o per la goffaggine nelle interazioni con l’altro sesso. Tutte esperienze che possono aver lasciato ferite nell’autostima e timore del giudizio altrui, spingendoli in un circolo vizioso di isolamento.
Le ricerche di William Costello: dati e risultati rilevanti per i clinici
Negli ultimi anni, il ricercatore William Costello si è distinto per aver portato il tema degli incel all’attenzione della comunità scientifica, con studi empirici che aiutano a sfatare alcuni miti e a delineare possibili approcci di intervento. Uno studio fondamentale condotto da Costello e colleghi, pubblicato nel 2024, ha esplorato in modo sistematico la psicologia relazionale degli incel confrontandoli con coetanei non incel. In questa ricerca, 151 uomini che si identificavano come incel sono stati comparati con 149 uomini single non appartenenti alla subcultura incel.I risultati offrono spunti cruciali per i clinici:
Bassa autostima relazionale: Gli incel hanno riportato un minor senso del proprio valore come potenziali partner rispetto al gruppo di controllo. In altri termini, essi si percepiscono come poco appetibili sul “mercato” degli appuntamenti. Questa scarsa “mate value” soggettiva può alimentare un ciclo di evitamento e insuccesso: sentendosi già in partenza destinati al rifiuto, è più probabile che non si mettano nemmeno in gioco o che, se lo fanno, interpretino negativamente ogni segnale. Per i clinici, ciò segnala l’importanza di lavorare sul costrutto di autostima e autoefficacia interpersonale con i pazienti incel, aiutandoli a riconoscere le proprie qualità e a ridimensionare la percezione di “unlovability”.
Locus of control esterno: Uno dei risultati più interessanti è che gli incel mostrano un locus of control fortemente esterno riguardo la propria condizione sentimentale. Essi attribuiscono il fatto di essere single principalmente a fattori fuori dal loro controllo (aspetto fisico sfortunato, società ingiusta, comportamento altrui), molto più di quanto facciano altri uomini single. Ciò è coerente con la mentalità Black Pill discussa prima. Per il clinico, questo implica che l’intervento dovrà mirare gradualmente a spostare il locus of control su coordinate più interne, promuovendo il senso di agency senza però invalidare in blocco le percezioni soggettive. Ad esempio, tecniche di reframing cognitivo possono aiutare a mostrare che se è vero che alcuni fattori non sono modificabili, esistono comunque margini di azione (curare altri aspetti di sé, sviluppare competenze sociali) che possono migliorare le chance relazionali.
Standard e preferenze romantiche: Il luogo comune vuole che gli incel siano uomini con standard irrealistici (es. pretendere donne bellissime e perfette, le Stacy, e disdegnare donne “normali”). Sorprendentemente, Costello e colleghi hanno trovato il contrario: gli incel nel campione riportavano standard minori nelle preferenze verso un’eventuale partner rispetto ai non-incel. In pratica, dichiaravano che si accontenterebbero di più in una compagna, pur di avere una relazione, contrariamente alla narrazione mediatica che li dipinge come estremamente esigenti. Questo dato può riflettere una realtà importante: molti incel anelano semplicemente ad una relazione anche modesta, più che ad una super-modella – è la loro percezione di non poter ottenere nemmeno quella che li dispera. Per i clinici, ciò significa che dietro la retorica misogina c’è spesso un forte desiderio di intimità anche basilare; lavorare su questo desiderio, validandolo e mostrando che può essere raggiungibile, potrebbe aprire spiragli motivazionali nel trattamento.
Distorsioni sulle preferenze femminili: Lo studio ha evidenziato notevoli distorsioni cognitive negli incel riguardo a ciò che le donne cercano in un partner. Sia gli incel che, in misura minore, gli altri uomini sovrastimavano l’importanza dell’avvenenza fisica e dello status economico per le donne, sottostimando invece quanto le donne apprezzino tratti come l’intelligenza, la gentilezza e il senso dell’umorismo. Inoltre, gli incel sottostimavano i requisiti minimi complessivi che le donne hanno – in altre parole, credevano che le donne avessero standard altissimi quasi irraggiungibili, quando invece le ricerche sulle preferenze mostrano che non è così estremo. Queste distorsioni alimentano la loro rassegnazione: se penso che “tutte le donne vogliono solo uomini ricchi e belli”, e io non lo sono, mi convincerò che “nessuna mi vorrà mai”. Un clinico informato di questi dati potrebbe includere una componente di psicoeducazione a riguardo: presentare ricerche reali sulle preferenze femminili medie e smontare con evidenze i miti iperbolici, incoraggiando una visione più realistica e meno catastrofica dei rapporti di genere. Costello suggerisce che interventi psicologici mirati dovrebbero aiutare gli incel a correggere le false credenze sulle preferenze femminili e sul cosiddetto sexual market, poiché tali credenze contribuiscono al loro malessere e alla misoginia interiorizzata.
Un altro filone di ricerca di Costello ha indagato il modo in cui gli incel percepiscono il giudizio della società verso di loro. In uno studio intitolato “Seeing through the black-pill: Incels are wrong about what people think of them”, i ricercatori hanno confrontato l’opinione di incel e non-incel riguardo alla percezione sociale degli incel. Ne è emerso che, contrariamente a ciò che credono, gli incel tendono a sovrastimare il biasimo e l’ostilità che la società prova nei loro confronti, e sottostimano invece la simpatia o comprensione che molte persone hanno. L’indagine ha rilevato che le opinioni del campione di persone comuni verso gli incel erano per lo più neutrali o addirittura compassionevoli, riconoscendo che gli incel “fanno del male a se stessi” e destando preoccupazione per il loro benessere. Gli incel partecipanti, invece, erano convinti che la società li incolpasse quasi totalmente dei propri problemi e li disprezzasse, dimostrando quindi un significativo bias di percezione. È interessante notare che entrambi i gruppi (incel e non-incel) concordavano sul fatto che gli incel rappresentino un pericolo principalmente per se stessi, riconoscendo l’alto rischio di autolesionismo o suicidio nella comunità, e che in effetti molti incel coltivano atteggiamenti misogini che – in misura minore – potrebbero costituire anche un pericolo sociale.
Per i clinici, questi risultati sono incoraggianti e forniscono linee guida pratiche. Sapere che la visione del mondo degli incel – “la società ci detesta” – è in gran parte infondata è importante: significa che c’è spazio per lavorare sulle loro distorsioni cognitive in chiave di realtà esterna positiva. In terapia, mostrare che molte persone in realtà provano empatia per la loro condizione, senza approvare i loro discorsi d’odio ma distinguendo la persona dalla retorica, potrebbe aiutare a ridurre il sentimento di persecuzione e vittimizzazione globale. L’idea che “il mondo non è così ostile come pensi” va comunicata con tatto, magari portando esempi concreti, per aprire brecce nella narrativa monolitica e dare speranza a un reinserimento.
In definitiva, le ricerche di Costello forniscono un fondamento empirico alle nostre intuizioni cliniche. Ci dicono che gli incel non sono alieni incomprensibili: mostrano schemi psicologici riconoscibili su cui si può lavorare, esattamente come si fa in terapia con altri pazienti che hanno credenze disfunzionali. Ci invitano inoltre a vedere l’incelismo non solo come un’ideologia ma anche come un sintomo di malessere, spostando l’enfasi dalla colpevolizzazione alla presa in carico.
Incel e bias di passività: esternalizzazione vs autodeterminazione
Un elemento ricorrente nel profilo psicologico incel è quello che Dimaggio, seguendo gli studi di Costello, ha definito come bias di passività: la tendenza a vedere sé stessi come totalmente impotenti e a delegare all’esterno la responsabilità (e la colpa) della propria condizione.Questo bias di passività si manifesta già nell’etichetta incel: definirsi “celibe involontario” equivale già a dire “non dipende da me, è involontario, io non posso farci niente”. Da un lato c’è sicuramente una componente reale di mancanza di controllo (nessuno può garantire di trovare un partner, dipende anche dagli altri), ma negli incel questa attitudine diventa estrema e pervasiva. Ogni responsabilità viene esternalizzata: “se non ho successo, è colpa dei miei geni, delle donne superficiali, della società moderna corrotta”. Questo atteggiamento li protegge parzialmente dal dover affrontare sentimenti di inadeguatezza personale, ma al costo di bloccare qualsiasi crescita. In pratica, il bias di passività è un’arma a doppio taglio: solleva dall’ansia di provare e magari fallire (perché “tanto è inutile”), però condanna a un immobilismo che perpetua il problema. Nei forum incel questa filosofia viene continuamente rinforzata. Questo porta a quella forte esternalizzazione della sofferenza: “Sto male perché gli altri – le donne ipergame, i Chad – mi fanno stare male. Io non posso farci nulla”. Tale visione deterministicamente pessimista è alla base dell’ideologia Black Pill e funge da filtro interpretativo per ogni esperienza negativa, rinforzando l’idea che il soggetto non abbia alcun potere di cambiare le cose. Ad esempio, se un incel subisce un rifiuto da una ragazza, invece di considerarlo un evento sfortunato ma circoscritto, lo leggerà come ulteriore prova che “nessuna donna andrà mai con uno come me perché la società è fatta così”. Questo bias di conferma mantiene il circolo vizioso.
Le ricerche supportano la presenza di tale atteggiamento: Costello e colleghi hanno quantificato un locus of control più esterno negli incel rispetto ad altri uomini. Altri studi qualitativi riportano frasi tipiche come “è finita prima ancora di provare, il gioco è truccato”, a indicare quanto radicata sia la convinzione di impotenza. Va però sottolineato che questa passività appresa non è una pigra rassegnazione bensì disperazione: molti incel, prima di adottare il fatalismo, hanno provato nel corso della vita a migliorarsi o a corteggiare, incontrando fallimenti multipli che hanno eroso la fiducia in ogni possibilità di cambiamento. Di fronte a ripetuti insuccessi, l’attribuzione esterna può diventa una protezione: meglio credere che “è colpa del mondo cattivo” che accettare un’idea insostenibile di sé come buono a nulla. L’identificazione incel fornisce un contesto sociale in cui questa impotenza è condivisa, normalizzata e persino valorizzata come tratto distintivo. Questo crea una sorta di comfort zone del vittimismo: dolorosa, ma pur sempre una zona di comfort psicologico in cui non ci si deve esporre al rischio del rifiuto o del fallimento, perché si è già concluso a priori di aver fallito. Si tratta di una narrazione differente che spiega la loro sofferenza, per quanto disfunzionale e autolimitante essa sia.
L’effetto negativo, tuttavia, è che questa mentalità impedisce ogni percorso di crescita personale. Se un individuo è convinto al 100% che nulla dipende da lui, non avrà motivazione a impegnarsi in terapia, a sviluppare competenze sociali, a mettersi in situazioni che possano smentire le sue credenze. In terapia, dunque, uno degli snodi cruciali sarà affrontare gradualmente questo determinismo disfattista. È fondamentale farlo distinguendo la nozione di responsabilità personale da quella di colpa. Spesso, infatti, gli incel (come anche altre persone che si sentono vittime) resistono all’idea di “assumersi responsabilità” perché la confondono con “darsi la colpa”. Pertanto, il terapeuta deve passare il messaggio che avere un ruolo attivo nel proprio cambiamento non equivale affatto a essere colpevoli delle proprie sofferenze pregresse. Si può validare il dolore provato per le ingiustizie – ad esempio, “Capisco che ti sembra di aver subito un torto e che hai sofferto molto, non è colpa tua se sei stato bullizzato o respinto” – e contemporaneamente introdurre il concetto di autodeterminazione, “Ora però, cosa possiamo fare insieme per migliorare la tua situazione da qui in avanti?”. In pratica, lavorare sull’agency.
Un utile parallelo è con la distinzione tra colpa e responsabilità nelle terapie focalizzate sul trauma: il paziente non ha colpa di ciò che gli è accaduto, ma è responsabile della propria guarigione. Con gli incel si può adottare un approccio simile: “Non è colpa tua se finora le cose sono andate male – ci sono tante ragioni, alcune sfortunate, alcune di contesto – ma tu puoi avere un ruolo nel cambiare la tua vita, passo dopo passo”. Questo messaggio, se ben calibrato, può essere liberatorio. In fondo, responsabilità in senso etimologico è la capacità di rispondere. Significa ridare a queste persone la percezione di avere scelta e controllo su una parte della propria vita. Tecniche di terapia cognitivo-comportamentale, esperimenti comportamentali guidati e psicoterapia metacognitiva possono essere utili per scardinare le convinzioni fataliste e l’identità di vittima, per favorire un percorso di crescita personale e di autodeterminazione.
Il fenomeno incel attraverso “Adolescence” di Netflix
Una prospettiva interessante per analizzare culturalmente il fenomeno incel è offerta dalla miniserie “Adolescence” (Netflix, 2025), che narra una vicenda ispirata a temi di radicalizzazione giovanile online. La serie, ambientata in Inghilterra, segue il caso del tredicenne Jamie, arrestato con l’accusa di aver accoltellato a morte una coetanea, Katie. Col procedere degli episodi, emerge che alla base del gesto vi sarebbero dinamiche legate all’umiliazione subita da Jamie sui social: Katie, dopo aver rifiutato un suo goffo tentativo di approccio, lo avrebbe insultato pubblicamente chiamandolo “incel” e inviandogli particolari emoji dispregiative su Instagram. Jamie, già insicuro e vulnerabile, viene dunque etichettato come perdente destinato a restare vergine per sempre davanti ai compagni, scatenando in lui rabbia e dolore al punto da sfociare in violenza.
“Adolescence” mette in scena con crudo realismo i meccanismi di vergogna, rabbia e isolamento che possono condurre un giovane fragile verso derive incel. L’investigatore inizialmente stenta a credere che tali idee possano aver toccato un ragazzino così giovane, esclamando incredulo: “Ha 13 anni! Come può essere un incel a 13 anni?”. Il figlio maggiore dell’ispettore, compagno di scuola di Jamie, spiega che quel termine viene ormai utilizzato anche dai giovanissimi come insulto durissimo: “Le sta dicendo che lo sarà sempre… incel vuol dire che sarai vergine per sempre”. Questa battuta sottolinea un aspetto chiave: la cultura incel, con il suo gergo e i suoi concetti come l’80/20, sta penetrando tra gli adolescenti, diventando parte del bullismo e della costruzione dell’identità tra pari.
La serie offre anche uno spaccato delle reazioni degli adulti: da un lato l’incredulità e l’orrore di fronte a un delitto apparentemente senza movente se non l’ego ferito; dall’altro, attraverso il personaggio della psicologa forense incaricata di valutare Jamie, si tenta di capire l’interiorità del ragazzo. Jamie stesso, durante le sedute, rivela di aver agito perché “Katie gli aveva fatto molto male” umiliandolo pubblicamente. Questo non assolve il gesto, ma lo contestualizza come esito estremo di un disagio emotivo non riconosciuto. Adolescence mostra come la mancanza di un supporto emotivo e di dialogo con figure di riferimento (genitori, insegnanti) abbia lasciato Jamie solo di fronte alla vergogna e alla rabbia, spingendolo a trovare nei meandri di Internet una narrativa incel/misogina che desse sfogo a quei sentimenti – fino alle tragiche conseguenze.È emblematico che il detective si renda conto di conoscere pochissimo il mondo online del figlio e che, grazie a questo caso, riesca ad avvicinarsi di più anche al proprio figlio adolescente. La serie lancia così un monito: l’influenza dei contenuti incel – e più in generale di messaggi misogini – sui giovanissimi è reale e può contribuire a plasmare le loro reazioni in situazioni critiche.
Riferimenti italiani: contributi di Marco Scarcelli e Beatrice Petrella
In Italia, il tema incel ha attirato l’attenzione sia di ricercatori accademici che di giornalisti investigativi. Marco Scarcelli, ricercatore presso l’Università di Padova, si occupa di media digitali e della costruzione della mascolinità online. Scarcelli ha contribuito a definire e studiare la manosfera nel contesto italiano, curando volumi accademici e saggi sulle narrative di auto-vittimizzazione e misoginia nei gruppi Incel e Red Pill. Una delle sue analisi evidenzia come nei forum incel italiani emerga una narrazione vittimistica di sé unita alla disumanizzazione dell’altro sesso e alla giustificazione tacita della violenza. Questi lavori accademici confermano che anche in Italia il fenomeno presenta caratteristiche simili a quelle riscontrate in studi internazionali: linguaggio gergale peculiare, costruzione di identità di gruppo attorno al risentimento, e rischi di radicalizzazione verso l’estrema destra. In particolare, Scarcelli e colleghi sottolineano come la manosfera italiana mantenga connessioni con quella anglofona ma al contempo si inserisca nelle specificità culturali nostrane (ad esempio, riferimenti a fatti di cronaca italiani, uso di figure locali come simboli, ecc.).
Un altro nome di rilievo è quello di Beatrice Petrella, giovane giornalista che ha condotto una coraggiosa inchiesta sul mondo incel italiano. Petrella è autrice del podcast Rai “Oltre – Un’inchiesta sull’universo incel italiano”, vincitore di un premio per il giornalismo investigativo.Per realizzare questo lavoro, Petrella si è infiltrata sotto copertura per otto mesi in forum e chat riservate agli incel italiani, raccogliendo materiali e testimonianze direttamente dalla “pancia” di queste comunità. I suoi resoconti confermano la presenza in Italia di una comunità incel attiva, seppur sotterranea: forum web e gruppi Telegram dove decine di uomini (soprattutto giovani) si scambiano messaggi carichi di misoginia, frustrazione e spesso estremismo. Petrella racconta di aver osservato con i propri occhi il progressivo processo di radicalizzazione: da semplici sfoghi su fallimenti amorosi si passa ad abbracciare teorie sempre più estreme, fino a sconfinare in suprematismo bianco e ideologie di estrema destra. La sua inchiesta rivela dettagli inquietanti sul capitolo italiano del fenomeno, come l’esaltazione di figure di criminali celebri, simboli che tendono quasi a romanticizzare uomini violenti visti come “vendicatori”. Un altro aspetto interessante messo in luce da Petrella è la mancanza di “narrazioni alternative” positive di mascolinità per questi giovani: la comunità incel offre loro un’identità e una spiegazione alle proprie sofferenze in assenza di modelli maschili differenti a cui ispirarsi. Questo spunto è particolarmente prezioso per i professionisti della salute mentale, in quanto conoscere il vocabolario e il contesto locale (come l’esistenza di chat italiane e riferimenti a fatti di cronaca nostrani) può facilitare l’approccio con eventuali pazienti incel. L’approccio empatico di Petrella, che invita ad affrontare il fenomeno senza stigmatizzare ma cercando di comprenderne le radici, risuona fortemente con l’obiettivo di offrire alternative positive e strategie di supporto.
Conclusione: una realtà complessa da guardare in profondità
Il fenomeno incel si configura come una realtà complessa, multiforme e spesso fraintesa, che unisce ideologia e sofferenza, bisogno di appartenenza e ostilità verso l’altro, frustrazione individuale e strutture culturali più ampie. Non si tratta semplicemente di “uomini arrabbiati su Internet”, né di una minaccia da criminalizzare in blocco, né – all’opposto – di vittime innocenti da deresponsabilizzare. Si tratta, piuttosto, di soggetti reali, spesso giovani e isolati, che hanno trovato in questa identità negativa una spiegazione alle proprie difficoltà, una cornice narrativa che fornisce ordine, sfogo e un (apparente) senso di appartenenza. La riflessione proposta ha cercato di restituire una visione sfaccettata: partendo dalla storia e dal linguaggio del fenomeno, passando per le credenze distorte che lo sostengono, fino ad arrivare ai dati empirici più recenti e alle interpretazioni italiane. Ciò che emerge con chiarezza è che l’incelismo è simbolo di un malessere maschile più ampio: parla della difficoltà di costruire identità in un mondo che è cambiato, della fragilità relazionale di molti giovani uomini, e della potenza dei social media nel veicolare narrazioni semplificate e aggressive. Guardare agli incel senza pregiudizi non significa giustificare l’odio o accettare la violenza. Significa, piuttosto, affrontare la radice del problema con lucidità e umanità, riconoscendo le componenti psicologiche, sociali e culturali che interagiscono. Solo così si potrà offrire una risposta adeguata, che sia allo stesso tempo professionale e compassionevole sul piano umano.
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